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“A CHE ORA E' LA FINE DEL MONDO?”

  • A.P.
  • 5 set 2024
  • Tempo di lettura: 5 min

ORIENTARSI AL TEMPO DELLA GUERRA CIVILE GLOBALE

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Il mondo brucia ma non è la fine, o meglio, non ancora.

Certo gli ingredienti ci sono tutti, tranne uno: il tempo. Passati i brividi della c.d. “guerra freddail mondo si è surriscaldato avendo perso l’ausilio della valvola di regolamentazione costituita dalla MAD, la Mutual Assured Destruction, la certezza, cioè, che Sansone sarebbe morto con tutti i Filistei e di Usa e Urss (ma sopratutto dell’Europa) sarebbero rimaste solo le macerie. Oggi non è più tempo per soluzioni drastiche, “grande è la confusione sotto il cielo, e la situazione è eccellente” solo se si è dalla parte giusta del cannone.

“Le guerre sono più necessarie che mai, perfino una sconfitta è meglio di niente.” Lo vaticinava nel ’66 Werner Herzog durante la difesa esemplare della fortezza di Deutschkreutz*.

Oggi chi potrebbe accusarlo d’aver sbagliato?

Accanto ai malconci giganti imperiali, stanchi e rattoppati, si muovono una decina di agguerriti ed affamati organismi che sfruttano la fase di rilassamento dell’egemonia globale per risolvere i conti o levarsi i sassolini dalle scarpe.


L'ORIENTE VICINO

Il 34° Est si conferma ancora il meridiano più caldo del mondo. Israele sembra aver deciso di chiudere i conti con Gaza e, dall’assalto del 7 ottobre, comprime ciò che resta del popolo palestinese sulla frontiera egiziana, segnando il terrificante record di 40.000 morti in dieci mesi. Più a sud, oltre il Canale, i traffici marittimi sono bersagliati dalla balistica homemade degli Houti che, solidali con Hamas&co, si agganciano alla “causa” per recuperare in visibilità e potere contrattuale da usare a Riad in un futuro appeasement.

A nord, oltre l’Anatolia, il conflitto russo-ucraino non accenna a placarsi e anzi, mentre Putin terrorizza i civili con i bombardamenti sulle città, si alimenta con i nuovi assalti oltre confine degli ucraini, talmente stupefacenti (ed inaspettati) da aver colto di sorpresa contemporaneamente Mosca e Kyiv che, secondo voci di corridoio (e il Washington Post), erano pronte ad incontrarsi a Doha per un primo tavolo di confronto oggi saltato. Saltato come il North Stream (I e II), il “megatubo” che connetteva l’industria tedesca al gas russo, (già fermo per scelta politica) minato secondo la magistratura teutonica, da un commando

coordinato da Vladimir Zhuravlev, istruttore della scuola per sub Scuba Family di Kyiv.

La Siria, il Libano e l’Iraq fanno i conti con una resurrezione che sembra impossibile. Frequentemente mortificato da nuove crisi, come l’esplosione al porto di Beirut e la crisi economica, l’escalation al confine con Israele, la mai sopita minaccia jihadista che condivide con i vicini siriani “il paese dei cedri” è sprofondato in una stasi drammatica. Damasco, alle prese con le sfide della pacificazione e della riconquista nazionale, gestisce il rilancio diplomatico ed economico. L’Iran è l’Iran, nel caso non bastassero i problemi interi e l’asfissia

dell’embargo di tanto in tanto capitano degli incidenti a figure chiave della Repubblica Islamica, come quello in elicottero costato la vita al presidente Raisi, al ministro degli esteri Hossein Amir-Abdollahian e ad altre sette persone. Una amministrazione politica decapitata in un colpo solo, in una stagione di fortissime tensioni regionali, esasperate dalle operazioni illegali di targeted killings di Israele che, il 31 luglio scorso, ha ucciso il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, proprio a Teheran.


L'ORIENTE ESTREMO

Intano la questione Taiwan sembra soltanto rimandata. La Cina si fa un nodo al dito per correre ad accudire la Russia, gestire Pyongyang, ragionare su una transizione in Birmania, contrattare dazi ragionevoli con l’Europa, evitare nuove pandemie, ristrutturare la “via della Seta”, conquistare (o costruire) nuove isole nel mare filippino, occupare politicamente Hong Kong, invadere il mercato “Green” con pannelli, auto, batterie e lavoratori a costo zero,

sopprimere ogni anelito di libertà in Tibet, o nelle steppe asiatiche e preoccuparsi di una economia che, dopo aver registrato un aumento del PIL, di oltre il 2000 per cento tra il 1976** e oggi, si è imbizzarrita e fa i capricci.

Insomma per essere un “gigante che dorme” i drago sembra piuttosto indaffarato. Napoleone e Rampini ci hanno messo in guardia, speriamo che almeno al secondo si riesca a dare retta.

Mentre in Bangladesh le proteste studentesche contro la lottizzazione della pubblica amministrazione, favorevole ai discendenti dei reduci della guerra di indipendenza contro il Pakistan, hanno portato in auge l’anima radicale ed islamista del paese con i giovani del Partito nazionalista del Bangladesh (BNP) al fianco della Jamaat-e-Islami, branca bangladese dell'omonimo partito integralista islamico pakistano. La repressione brutale ha fronteggiato una folla di manifestanti fra cui sventolavano le bandiere nere della “jihād”. Assediata nei palazzi del potere e garbatamente scaricata dai militari, la premier Sheikh

Hasina è fuggita in elicottero lasciando il posto a Muhammad Yunus, premio Nobel e padre del microcredito.

In Birmania, oggi Repubblica del Myanmar, la giunta militare fronteggia la mobilitazione generale delle componenti etniche del paese, della popolazione urbana e dei movimenti di resistenza sorti dopo il golpe del primo febbraio del 2021. In un epocale allineamento di vedute la guerriglia nella giungla, portata avanti da Karen, Shan, Kachin, ed Arakan si è fusa con migliaia di dissidenti e giovani birmani che ora insidiano l’esercito arroccato in fortilizi isolati o nelle città maggiori e che ha mano libera solamente “nell’alto dei cieli” quando polverizza villaggi di bambù e risaie. La Dea americana, nel frattempo, tiene gli

occhi puntati sui narcos asiatici, i cartelli del “triangolo d’oro” ( Birmania, Laos, Thailandia) infatti sono diventati i primi produttori d'oppio al mondo e si giocano il primato globale delle droghe sintetiche, come il fentanyl, che proprio negli Usa imperversa e flagella Portland (Or), San Francisco, Philadelphia e Los Angeles, città in cui sorgono vere e proprie Zombielands.


IL RESTO DEL MONDO

Altro che “noia”, tutto il resto (del mondo) si agita e si muove a ritmi forsennati.

Il Venezuela di Maduro vede il sogno socialista trasformarsi in un incubo di democratura, povertà e repressione, un “nerd” fanatico con un fucile di precisione ha provato ad uccidere Donald Trump, ex presidente usa e candidato Rep., portandogli via un lobo ma, probabilmente, consegnandogli le chiavi della Casa Bianca. E per chiudere l’Africa, l’immancabile regina di ogni crisi, con ben undici guerre in corso in 8 Paesi: Libia, Nigeria, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Repubblica Centro Africana, Repubblica democratica del Congo e Uganda. Per non parlare dei colpi di stato e del terrorismo.

E quindi la domanda sorge spontanea. “A che ora è la fine del mondo?”


Tra 90 secondi, a quanto affermano le lancette del “Doomsday Clock”, l’orologio dell’Apocalisse attivo a Chicago dal 1947. Un minuto e mezzo ed il pianeta potrebbe non esistere più. La cosa sembra interessante, vale la pena di aspettare.


*“Die beispiellose Verteidigung der Festung Deutschkreuz” è il terzo cortometraggio realizzato dal regista bavarese. "Una satira dello stato di guerra e pace e delle assurdità che ispira".

Articolo scritto da A.P.

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